L'Umanesimo, il movimento intellettuale che ha aperto la strada alla nascita del Rinascimento dalla seconda metà del Trecento al Cinquecento, riscopre i modelli formali del mondo classico greco-latino.
Si vive il presente ripristinando il passato con orgoglio ed entusiasmo: gli Umanisti adottano la lingua dei ceti colti, il latino, mettendo da parte il volgare.
Lo spirito critico degli Umanisti è il tratto distintivo di questo movimento che raggiunse la sua massima compiutezza nel Quattrocento.
Essi sentivano il bisogno di verificare attraverso un'analisi razionale le nozioni tradizionali, di sottoporle a critica; a tal proposito ebbe un ruolo assai decisivo la filologia, la ricerca critica sul confronto dei codici e sui testi degli antichi ma anche sui fenomeni della natura e dei fatti storici.
Ciò giustifica la stima nei confronti degli scrittori e dei pensatori, l'ammirazione per il mondo classico che, a differenza di quanto accadeva nel Medioevo, viene studiato criticamente e storicamente.
I classici sono dunque innalzati a modello di una società armoniosa e compiuta.
Il principio-guida era quello dell'imitazione: l'Umanista imita gli esempi lirici di Orazio, quelli epici di Virgilio e la prosa di Cicerone a fronte del disprezzo della cultura medioevale e in favore della necessità di un rinnovamento.
Anche grazie all'appoggo della stampa che consentiva una facile e veloce diffusione dei testi, l'Umanesimo coinvolse Paesi diversi dal territorio d'origine come la Germania, la Francia, l'Inghilterra e la Spagna raggiungendo altresì l'Europa orientale.
Il latino, però, non potè a lungo competere con il volgare che prendeva sempre più piega nel campo della storiografia (si pensi a Guicciardini e Machiavelli) e della prosa filosofica.